“Maddalena” Fenech: il cuore di Salina in un bicchiere
Sarà l’estate o il desiderio di sperimentare nuovi abbinamenti in queste giornate afose… ma mi è venuta voglia di stappare una bottiglia acquistata qualche mese fa al Vinissage di Asti. In compagnia di un’amica, ho avuto il grandissimo piacere di partecipare a una degustazione organizzata dalla sezione locale dell’ONAV sui vini delle isole di Salina e Vulcano (Eolie). Valore aggiunto: i produttori presenti in sala. Senza nulla togliere all’ottimo Malvasia delle Lipari 2013 Punta Aria, sono rimasta incantata dalla personalità, dai prodotti e dalla storia del Sig. Francesco Fenech.
Eh sì, perché a sentire le peripezie che le due generazioni precedenti di questa famiglia maltese hanno dovuto superare per stabilirsi infine sull’isola di Salina vien da pensare che il destino, forse, esiste. La fuga dalla peste, poi dalla fillossera, il tentativo di tornare in America, fallito perché l’ultima nave per il continente (persa) affonda. Già a questo punto vien da credere che i Fenech fossero in qualche modo ormai legati indissolubilmente a quest’isola. E poi ancora la guerra, con tutte le sue conseguenze, e altre vicende famigliari che portano infine Francesco, l’attuale rappresentante della famiglia, a riprendere l’attività aggiungendo alla tradizione tecniche di produzione e macchinari moderni. Ma non finisce qui, perché nel 2003 arriva Bouabid. Arriva a Lampedusa a bordo di uno dei tanti barconi di profughi provenienti dal Marocco; dai Fenech trova un lavoro e la possibilità di imparare una professione (nel 2013 ha vinto il premio come miglior viticolture dell’anno per la guida Vini di Sicilia), fino a diventare l’anima dell’azienda. Francesco Fenech non esita ad attribuirgli tutto il merito per il successo e la qualità dei suoi vini, e come si può non credere a una persona così trasparente e precisa nel raccontare la storia e il presente della sua azienda, che chiude ogni affermazione con un punto fermo ma trasmette al contempo un amore grandissimo per la sua terra e il suo lavoro. Un modo di fare burbero solo all’apparenza, che riflette il “terroir” delle Eolie e il carattere della gente che le abita.
E così, dopo aver conosciuto le mille avventure della famiglia Fenech, siamo passate alla degustazione dei vini. Una volta assaggiate, queste due Malvasie non si scordano più.
La Malvasia delle Lipari (un clone diverso da quello delle altre Malvasie, geneticamente vicino al Greco Bianco) era già famosa nel Medioevo per la produzione di vini dolci di pregio. L’isola di Salina ha terreni sabbiosi, poveri, di origine vulcanica. Le rese sono bassissime: 40 quintali per ettaro. I vini Fenech hanno ormai una buona notorietà e si sono aggiudicati numerosi riconoscimenti – dalla Douja d’Or al Concorso Internazionale di Bruxelles a tanti altri – ma la crisi, ovviamente, si è fatta sentire. Piccola isola, piccola azienda (2,6 ha) e un settore che già di per sé attira solo gli intenditori: qui la Malvasia è principalmente utilizzata per produrre vino passito. Allora perché non provare a reinventarsi e produrre una versione secca, adatta ad accompagnare tutto il pasto, in particolare i fantastici piatti di pesce della cucina locale.
Il risultato è “Maddalena“. Malvasia 100%, un aroma dolce ma non aromatico, un colore giallo paglierino scarico molto brillante con lievi riflessi verdolini; al naso, floreale, con sentori di frutta bianca con nocciolo, pesca, uva, un tocco di lampone. C’è una certa freschezza balsamica che si ritrova al palato, dove l’acidità è ottima e si sprigiona un calore generoso (13% abv) ma equilibrato. Permangono una leggera sensazione dolce, dovuta probabilmente al glicerolo (gli archetti sul vetro del bicchiere sono un’opera d’arte), e un retrogusto leggermente amaro che, spiega Fenech, deriva dalle bucce. Per essere un 2014, è un vino estremamente completo ed equilibrato, lascia la bocca perfettamente pulita, mostra carattere e persistenza. 11.000 bottiglie e un successo meritatissimo sul mercato. Me ne aggiudico una delle ultime bottiglie rimaste allo stand a fine giornata.
Per il passito, invece, mi devo accontentare del ricordo: annata 2012, le uve vengono essiccate al sole per ca. 15 giorni su graticci ritirati ogni sera prima del tramonto. Il volume si riduce del 40%, la resa finale è di un terzo. L’appassimento non è totale; seguono diraspatura, criomacerazione, per favorire l’estrazione degli aromi, e filtrazione. La fermentazione viene bloccata intorno al 13% abv e il vino resta almeno 6 mesi in acciaio e altri 2-3 mesi in bottiglia. Il risultato è un prodotto di un bel giallo ambrato. Al naso, non eccessivamente fruttato, si distinguono sentori, dovuti alla criomacerazione, di resine bruciate, pietra focaia, un leggero affumicato, espressione del terreno e della tecnica di vinificazione usata. In bocca, la dolcezza è pacata, fresca, con note mielate e di frutta appassita e un tocco balsamico che ricorda la salvia. Rotondo, morbido, per nulla opulento come purtroppo sono alcuni passiti. Perfetto con la pasticceria secca siciliana (e non) o come vino da meditazione.
Una piacevole scoperta, quella dei vini di Fenech, in cui si rispecchiano un territorio e la passione di chi ci lavora.