A testa in giù – la vita in vigna nell’altro emisfero
Italia, Francia, California… tutti Paesi in cui ‘vendemmia’ è sinonimo di ‘autunno’. Così come da noi, ‘Natale’ è sinonimo di ‘inverno’. Ma ammettetelo: anche voi ogni tanto vi ritrovate a pensare agli Australiani che, invece di andare a sciare, lo festeggiano in spiaggia con costume e infradito. Eh già, nell’emisfero australe le stagioni sono “invertite”, per cui quando da noi è inverno, dall’altra parte dell’equatore è estate. E questo vale per ogni cosa, anche per la vendemmia.
In onore di tutti coloro che in questo momento sono nelle vigne “del nord” a rimboccarsi le maniche per raccogliere i frutti della vendemmia 2015, vogliamo parlare di come si arriva a questo grande evento. Perché se il vino è buono e ce ne rendiamo conto nei pochi minuti – se non secondi – che ci bastano per berne un bicchiere, è merito di un processo molto più lungo che si svolge in larghissima parte in vigna e che riguarda molto più la capacità dell’uomo di convivere e cooperare con madre natura che la sua abilità di “correggere” eventuali sgarri in cantina. Stiamo parlando del ciclo della vite – e vogliamo raccontarvelo in modo un po’ particolare: a testa in giù.
Tutto inizia con un pianto
La vite è una delle piante più legate alla storia dell’umanità, e manco a farlo apposta, se i bambini si dice che nascono piangendo, la vite rinasce dopo il riposo invernale facendo altrettanto. Quando a circa 25 cm di profondità il terreno raggiunge nuovamente i 10°C, la linfa fuoriesce dalle ferite della potatura, l’attività biologica della vite ricomincia e acqua e nutrienti tornano a circolare nel fusto e nei tralci. Questo succede a… settembre-ottobre. Sì, perché seguiremo il ritmo della vite nell’emisfero australe. Da questo momento iniziano a crescere i nuovi tralci e le foglie, e continueranno a farlo fino a febbraio circa, raggiungendo il massimo a dicembre, alla comparsa dei fiori. Il pericolo maggiore per le gemme che iniziano a formarsi sono le gelate primaverili. Nelle prime fasi del suo ciclo, la vite necessita di un buon apporto di acqua e sostanze nutritive, ma in seguito le cose cambieranno.
A novembre-dicembre la temperatura è ormai intorno ai 15°C (meglio ancora 20°C) e le viti iniziano a fiorire. Oltre a essere uno spettacolo bellissimo per chi ha la fortuna di poterlo osservare da vicino, questo è il periodo in cui sole e poca acqua favoriscono una buona annata: troppa pioggia ostacolerebbe l’impollinazione. Ogni fiore impollinato si trasforma in un acino d’uva; questo processo prende il nome di allegagione. La percentuale di “scarto”, variabile a seconda della varietà e delle condizioni stagionali, è del 25%. I fiori non fecondati cadono e il fenomeno, che in alcuni casi può assumere proporzioni anormali e quindi problematiche, è detto colatura.
Verso gennaio-febbraio i nostri acini iniziano a cambiare colore: l’invaiatura è segno che la quantità di zuccheri all’interno sta cominciando a crescere a discapito dell’acido malico. L’uva è in piena fase di maturazione, gli acini si ingrossano incamerando l’acqua finora immagazzinata nelle foglie e si sviluppano anche gli aromi caratteristici della varietà. I tannini maturano anche loro e c’è bisogno di temperature calde, tanta luce e un leggero stress idrico, per indirizzare le risorse verso i frutti piuttosto che verso le parti verdi della vite. Un nuovo ciclo di potatura assicura una buona distribuzione e gestione dell’apparato fogliare, in modo da aiutare la maturazione e prevenire malattie di origine fungina. Infine, poco dopo l’invaiatura, si procede a tagliare i grappoli non maturi (vendemmia verde) per regolare la resa finale e indirizzare maggiori risorse verso un numero minore di grappoli che in questo modo saranno di qualità maggiore.
Ci siamo!
A marzo-aprile nell’emisfero australe risuonano le prime note della vendemmia. Si spera nel bel tempo, in quanto pioggia o, peggio ancora, grandinate possono far gonfiare eccessivamente l’uva, diluendo aromi e sapori, e/o danneggiarla, rompendo gli acini e favorendo lo sviluppo di muffe. Il momento ideale per la raccolta coincide con un perfetto equilibrio tra maturazione zuccherina, maturazione fenolica (dei tannini) e contenuto di acidi, indispensabili per un vino “fresco” e vivo. Senza dimenticare che nelle regioni più calde, le buone condizioni climatiche accelerano nel complesso la maturazione; c’è quindi il rischio che le uve siano chimicamente pronte ma organoletticamente indietro, perché non hanno ancora avuto tempo di sviluppare in pieno i loro aromi varietali.
Dopo la fatica della vendemmia, anche la vite si riposa: tra luglio e settembre le temperature si abbassano progressivamente, aumentando il rischio di gelate. I tralci diventano del tutto legnosi e la vite immagazzina sostanze nutritive nelle radici. Serviranno ad affrontare l’inverno e a dare inizio a un nuovo ciclo finché le prime foglie non consentiranno la ripresa della fotosintesi. Nelle zone con clima continentale, per proteggere le piante dal freddo e dal gelo, si copre con la terra il punto di giuntura tra il piede e la marza (gran parte delle viti europee hanno un piede, cioè la parte radicale, di origine americana, per difendersi dalla Fillossera), e in casi estremi si seppellisce la vite intera.
Di estati torride ne abbiamo appena superata una. Per fortuna le viti non hanno sofferto troppo: quasi dappertutto c’era sufficiente acqua in profondità e un’escursione termica tra giorno e notte abbastanza alta da non esasperare lo stress idrico. Ma abbiamo appena detto che un po’ di sete fa bene alla qualità dell’uva. Perché?
La vite come ogni pianta, se lasciata cresce spontaneamente, ha esigenze diverse da quelle dell’uomo. A noi servono i suoi frutti e li vogliamo belli maturi. A lei importa solo di continuare a vivere, e per farlo ha bisogno di riprodursi. Come? I semi devono spargersi e per questo servono gli uccelli. Gli acini d’uva, con i loro colori e la loro dolcezza, hanno lo scopo di attrarre gli uccelli, che se li mangiano spargendo poi in un secondo momento i semi in giro. Se la vite ha a disposizione molta acqua, non si sente in pericolo, perciò continua a sviluppare foglie e parti verdi, trascurando i grappoli che rimangono più acerbi e all’ombra del fogliame. Se il numero di foglie viene ridotto dall’uomo e/o quando l’acqua inizia a scarseggiare, l’istinto di sopravvivenza fa scattare un altro meccanismo, per cui la vite indirizza più risorse verso i suoi frutti per renderli più attraenti e garantirsi la sopravvivenza. Ecco perché un leggero stress idrico fa bene alle uve – e al vignaiolo.
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