Tre metodi, un risultato: la dolcezza
I vini dolci rappresentano una categoria un po’ bistrattata: un tempo erano spesso e volentieri annoverati tra i vini più pregiati e figuravano sulle tavole più celebri d’Europa (basti pensare anche che i primi Champagne erano dolci). Oggi, invece, sono per lo più relegati all’accompagnamento del dessert e poche persone scelgono di continuare a bere fino alla fine del pasto. Una bottiglia, specie se a tavola si è in due, è decisamente troppo, i ristoratori non sempre offrono la possibilità di averne solo un bicchiere e neanche si sforzano quasi mai di promuovere questa categoria di vini. L’unico modo per apprezzare un vino dolce resta, quindi, la cara vecchia curiosità di chi il vino lo apprezza e lo vuole conoscere in tutte le sue sfumature.
Ma come si ottiene un vino dolce? I metodi sono principalmente tre e ve li presentiamo accompagnati da qualche esempio. Chissà che alla prossima cena al ristorante non vi venga voglia di leggere la carta dei vini fino alla fine.
Altolà, lieviti!
Il primo metodo, e forse anche il più “famoso”, è l’interruzione della fermentazione. L’alcol nel vino si sviluppa per azione di lieviti, che trasformano gli zuccheri principalmente in etanolo. Per ottenere un vino dolce, basta arrestare l’azione di questi lieviti nel momento in cui il vino ha raggiunto il livello di zucchero residuo desiderato. Motivo per cui la maggior parte dei vini dolci ha anche una gradazione bassa: lo zucchero non si è trasformato, di conseguenza il vino è meno alcolico. È il caso del Moscato d’Asti o del Brachetto d’Acqui, in cui la fermentazione viene bloccata abbassando la temperatura o aggiungendo un’alta dose di solforosa, e filtrando via i lieviti. Ma esistono anche vini dolci ad alta gradazione. Sono i cosiddetti vini ‘fortificati‘ in cui si aggiunge al vino uno spirito (acquavite di vino) che uccide i lieviti annullando ogni possibilità di ripresa della fermentazione. Semplificando un po’ le cose, questo è il metodo usato per produrre il Porto, lo Sherry e i vins doux naturels francesi. I vini dolci da fermentazione è arrestata a freddo sono più “delicati”, in quanto c’è sempre un minimo di rischio che un piccolo residuo di lievito faccia ripartire una fermentazione.
Dolcezza a go-go
In alcuni Paesi, come la Germania, si possono ottenere vini di media dolcezza tramite l’aggiunta di Süßreserve, ovvero mosto d’uva non fermentato ottenuto filtrando il mosto prima dell’inizio della fermentazione o aggiungendo SO2. La Süßreserve viene aggiunta al vino a fermentazione avvenuta – quindi “secco” – prima dell’imbottigliamento.
Per lo stesso scopo, è possibile usare mosto concentrato rettificato, una soluzione zuccherina estratta dall’uva. Questa pratica è diffusa in particolare nei Paesi del cosiddetto Nuovo Mondo.
Ci vuole concentrazione
Il terzo metodo utilizzato per ottenere vini dolci è la concentrazione degli zuccheri; il risultato sono quasi sempre vini di alta qualità, spesso molto rari. Le opzioni a disposizione del vignaiolo per aumentare la concentrazione degli zuccheri negli acini sono diverse, ma in ogni caso si ottiene contemporaneamente anche una forte concentrazione degli acidi presenti nelle uve – cosa essenziale per il nostro vino finale che altrimenti sarebbe stucchevole e decisamente poco godibile.
Lo svilupparsi della muffa nobile è il “fattore” sfruttato dai produttori di Sauternes e affini (Tokaji, BA, TBA): la Botrytis attacca l’acino praticando piccoli fori nella buccia dai quali evapora l’acqua. Il vino finale presenta distinti caratteri dovuti alla muffa nobile, come il tipico sentore di marmellata di arancia e albicocca passita.
Le uve posso anche essere lasciate a disidratare direttamente sulla vite: in questo caso servono uve completamente sane e un clima mite e secco, altrimenti si rischia lo sviluppo di marciume. La tecnica prende il nome di passerillage e dà origine a vini con spiccati sentori di frutta surmatura. Per i passiti italiani, invece, o i vins de paille del Jura e lo Sherry PX, le uve vengono raccolte e poi lasciate disidratare al sole (sud Italia) o in luoghi arieggiati e asciutti (fruttai), su stuoie o in cassette a seconda della tradizione del luogo.
Infine, in alcuni Paesi, è possibile lasciare le uve in vigna finché le temperature non scendono per alcuni giorni ad almeno -8°C: l’acqua presente negli acini ghiaccia e le uve vengono raccolte nottetempo in queste condizioni e subito pressate. Il mosto ottenuto contiene una concentrazione altissima di zucchero e acidi e dà origine a vini tanto dolci quanto freschi e caratterizzati da spiccati sentori varietali. Sono gli Icewine, in Italia chiamati “vini del ghiaccio” e prodotti in quantità minime in Valle d’Aosta e in Val Susa.