1 kg d’uva per 30 ml: la grande sfida dell’ice wine
Se vi chiedo di pensare all’uva, o al vino, e poi all’inverno e alla neve, cosa vi viene in mente? La risposta è quasi ovvia, ma non lo è l’avere avuto occasione di degustare il frutto di questa unione. Sicuramente è più probabile che molti di voi visualizzeranno nella loro mente un’immagine come questa:
Queste viti innevate si trovano in Canada, patria degli ice wine, nonostante il caso voglia che la prima testimonianza scritta relativa alla loro produzione risalga all’11 febbraio 1830, quando a Dromersheim (quartiere di Bingen, Germania) un gruppo di vignaioli stupefatti si rese conto di poter ricavare un mosto estremamente dolce pressando uve ghiacciate. In realtà, già Plinio il Vecchio nel 44 D.C. narrava di vini ottenuti da grappoli lasciati appassire sulla pianta fino all’arrivo del gelo invernale. Non vi è però la certezza che si trattasse di quelli che oggi vengono chiamati ‘ice wine’, mancando ogni indicazione sul successivo processo di vinificazione. In epoca romana, però, i vini di Chiomonte (Val Susa) erano famosi e apprezzati… E guarda caso ancora oggi la valle piemontese è una delle poche zone in Italia in cui si producono i vini del ghiaccio. Le altre zone europee da cui provengono questi vini rarissimi sono la Slovacchia, il Lussemburgo, la Germania e soprattutto l’Austria (Burgerland). Il primo produttore a livello mondiale è invece il Canada, dove nel 1984 Inniskillin (Niagara-on-the-Lake, Ontario) ottenne il primo ice wine del ‘nuovo mondo’ da uve Vidal. Ma come nasce un ice wine e cosa dobbiamo aspettarci da questo nettare venduto in quantità centellinate e a prezzi decisamente stratosferici?
Vinificazione al cardiopalmo
Se sono così cari, fidatevi, un motivo c’è. Anzi, ben più di uno. Ottenere un ice wine è una delle sfide più difficili nel mondo enologico, qualcosa può andare storto in vari momenti del processo produttivo e in questo caso la perdita è totale. Innanzitutto, le uve devono obbligatoriamente appassire in vigna e sottostare a un processo detto ‘crioconcentrazione‘, che consiste nel concentrare gli zuccheri contenuti negli acini sfruttando il congelamento degli stessi sulla pianta: solo così si degradano quelle sostanze (acidi idrossicinnamici) presenti invece nei vini prodotti da uve fatte appassire dopo la raccolta o congelate in un secondo momento. Un metodo sicuro per rilevare le frodi. Con l’arrivo dell’inverno e la progressiva sovramaturazione delle uve, però, il problema più grande sono gli uccelli: l’assenza di cibo e la dolcezza degli acini costringono i produttori ad avvolgere i singoli filari in metri e metri di rete, per impedire ai cari passerotti, tanto belli d’estate, di spolpare l’intero raccolto.
Quando la temperatura notturna scende ad almeno -7°/-8°C (esiste un disciplinare di produzione solo in Austria e in Canada, mentre negli altri Paesi non ci sono vincoli in tal senso) si può pensare di raccogliere. Bisogna tenersi pronti: il momento arriva e passa in fretta. Solitamente, non si vendemmia alla prima ondata di freddo, ma si aspetta qualche giorno, sperando che la temperatura di notte continui a calare in modo costante. L’alternanza caldo-freddo aiuta, infatti, lo sviluppo di composti aromatici caratteristici molto gradevoli, contribuendo al contempo all’evaporazione dell’acqua e all’appassimento. Comunque, a causa del freddo, la disidratazione delle uve non è mai spinta come nel caso dei vini passiti; la separazione del mosto – dolcissimo – dall’acqua avviene proprio grazie al fatto che le uve vengono raccolte durante la notte e pressate quando sono ancora ghiacciate. Ovviamente, parliamo di vendemmia manuale e in condizioni affatto piacevoli, tra dicembre e febbraio. Ogni grado ‘perso’ in temperatura esterna corrisponde a una maggiore concentrazione zuccherina, e quindi a un grado alcolico potenziale più elevato. Anche la pressatura, di conseguenza, avviene fuori, al freddo, per non surriscaldare nemmeno di pochi gradi le uve durante il processo. La resa è circa del 10-15%… Iniziate a riconsiderare il costo di questi vini?
Ma non è finita qui, le difficoltà proseguono in cantina. Con la crioconcentrazione, infatti, la quantità di zucchero nel mosto raggiunge i 400-550 gr/lt. Pensate che i lieviti si trovino bene in un ambiente del genere? No, faticano parecchio, e nel farlo iniziano anche a produrre una quantità significativa di acido acetico. Non c’è da stupirsi se i limiti di legge, già più alti per i vini passiti, sono ancora più elevati nel caso degli ice wine. In compenso, però, i lieviti producono anche una buona dose di glicerolo, che renderà il vino ancora di avvolgente e setoso. La fermentazione, in media, permette di raggiungere un tenore alcolico di 11-12,5%, anche se il range va da 8-9% fino a 15%. Dopodiché, i lieviti si arrendono, e il risultato è un vino unico e preziosissimo.
In the glass
Tutto molto bello, ma passiamo al lato pratico: cosa bisogna aspettarsi da un ice wine una volta che lo abbiamo nel bicchiere?
Per prima cosa, ritenetevi fortunati e preparatevi a un’esperienza fuori dall’ordinario. Non esistono vini con cui effettuare paragoni: gli ice wine sono ice wine e basta. Hanno caratteristiche organolettiche ben determinate e particolari. Alla vista, se il vino è frutto di uve a bacca bianca, troveremo un bel giallo paglierino/dorato a vari livelli di intensità; nel caso di varietà a bacca nera, avremo toni che vanno dal rosato-buccia di cipolla a un leggero aranciato-bruno. Questo non in seguito al contatto delle bucce con il mosto (la vinificazione usata per gli ice wine è quella classica dei vini bianchi), ma perché l’intero processo di pressatura richiede circa 5 o 6 ore e in questo tempo si ha una cessione di sostanze coloranti.
Per il resto, alcune cose le possiamo dedurre dal metodo di produzione in sé: saranno vini molto dolci, con 150-250 gr/lt di zuccheri residui, ma mai stucchevoli. Ricordate: le uve non sono botritizzate né appassite nel senso classico del termine, per cui gli aromi saranno principalmente floreali e fruttati (agrumi, mela, frutti tropicali), in alcuni casi strettamente tipici della varietà utilizzata, note di miele e, nei vini più complessi, leggere sfumature di legno o balsamiche. L’acidità sarà sostenuta e fresca, il vino setoso, avvolgente, a volte ‘caldo’, mai opulento. Il glicerolo c’è, si sente ma non predomina, regna invece l’equilibrio tra le varie componenti acide e zuccherine. Il tenore alcolico sarà verosimilmente medio-basso, il finale piacevole, invitante, persistente.
Avete voglia di ice wine, lo so. Per un buon inizio – e investimento – vi consiglio Inniskillin.
Riesling 2013: un vino fortemente varietale, con note importanti di idrocarburo ben integrate ad accenni di miele e scorze di agrumi. Perfetto per studiare le differenze tra un ice wine e un vino ottenuto da uve appassite o botritizzate. Morbido e vellutato, ma anche fresco e scattante. Davvero ottimo!
Vidal 2013: varietà ibrida ottenuta da uve Ugni Blanc (Trebbiano toscano) e Rayon d’Or (altro ibrido), point of difference del patrimonio enoico canadese. Bel colore dorato e carico, naso di frutti tropicali, litchi, agrumi e pesca sciroppata. A ‘Canadian experience‘.
Cabernet Franc 2012: lampone e mora, più ‘gelée’ che frutta fresca, molto rotondo, con note boisé e un finale piacevolmente balsamico. Un vino non scontato, interessante e ben rappresentativo delle potenzialità delle varietà a bacca rossa, nonostante siano sempre quelle a bacca bianca a dare i risultati migliori per questa tipologia di vino.
Voi sapere di più sui vini dolci? Questo è il post che fa per te!