Io bevo romagnolo – e anforato!
Prima di lamentarvi ancora del fatto che al Vinitaly andare in bagno è un’esperienza da cui non si esce vivi (lunghe attese, servizi insufficienti, pulizia che lascia a desiderare…), pensateci bene: proprio lì potrebbe cogliervi l’idea per un nuovo progetto enologico. Non serve sottolineare che chi scrive odia profondamene la kermesse veronese e da anni è ben felice di non doversela sorbire, ma dopo la serata alla Banca del vino di Pollenzo del 2 maggio scorso… Se mi guardo bene dal ricredermi, almeno ho avuto dimostrazione che non tutto il male vien per nuocere. Torniamo seri.
I protagonisti della serata di degustazione erano i vini ottenuti da uve autoctone dell’Emilia-Romagna tramite vinificazione in anfore georgiane. E l’idea – parte del più ampio progetto “Io bevo romagnolo” – è nata proprio nei bagni del Vinitaly quattro anni fa, quando alcuni amici produttori si sono trovati a ingannare il tempo, in attesa di un wc libero, discutendo dei vini georgiani che avevano appena assaggiato. Alla prima vendemmia del 2013 ne sono seguite altre due e l’entusiasmo ha dilagato, coinvolgendo sempre più cantine ed estendendosi oltre regione (prossimamente anche aziende di Abruzzo e Toscana daranno il via agli esperimenti). Per gli scettici, che di certo non mancano in una zona di produzione che da sola sforna la stessa quantità di vino di Nuova Zelanda e Cile messi insieme, la risposta è una sola: AN so miga FORA!
Il monoingrediente
Chiedete a un bambino con che cosa si fa il vino e vi risponderà subito: con l’uva! Carino… ancora deve scoprire come va il mondo. L’uva sì, è l’ingrediente principale, ma per ottenere un vino si ricorre anche a molto altro. Ovviamente, non parliamo di pratiche illegali, ma il processo di vinificazione richiede controllo e maestria affinché il risultato sia almeno potabile. Ottenere vino da un solo ingrediente è cosa rara e antica. Chi per primo capì quale manna rappresentasse la fermentazione spontanea della frutta (e quindi anche dell’uva) certamente si accontentò di quello che madre natura gli aveva donato; che fosse buono, è difficile crederlo. Secoli di tradizione enologica ci hanno portato a livelli qualitativi altissimi e in generale molto diffusi, cosa improbabile se alla pratica non si fosse aggiunta la grammatica.
La sfida di questo progetto, invece, è quella di raggiungere il monoingrediente, ovvero la produzione di vino utilizzando soltanto uva e una quantità davvero irrisoria di solfiti (onde evitare poco graditi mono-mal di pancia). Come fare? Chiediamo ai Georgiani! E loro sono venuti in Italia per dare dimostrazione delle tecniche millenarie ancora in uso nel loro Paese, nonché patrimonio Unesco. Ecco la ricetta:
Cosa: uva, senza alcun trattamento in vigneto né aggiunta di lievi per la fermentazione
Come: macerazione lunga delle bucce, nessun controllo di temperatura o aggiunte di SO2
Strumento: anfore in terracotta georgiane (ed è importante, vedremo perché) mediamente da 300-500 l
Perché: la massima espressione e valorizzazione del territorio e dei vitigni locali
Dalla Georgia con amore
L’unico strumento adatto ad affrontare una sfida di questo tipo è l’anfora georgiana. Oggi il suo utilizzo è minacciato anche in patria dalle moderne tecniche enologiche e dalla standardizzazione su scala globale del prodotto vino, ma alcuni produttori resistono e solo qui si possono acquistare anfore in terracotta che rispondano ai criteri essenziali a questo tipo di vinificazione.
Per prima cosa, si tratta di oggetti artigianali (per cui ogni esemplare è leggermente diverso dagli altri, a cominciare dalla capacità), costruiti con argille di bacini diversi situati in regioni differenti. Artigianali, e quindi unici, sono anche i forni di cottura; quest’ultima avviene rigorosamente a fiamma e a temperature relativamente basse, che prevengono la vetrificazione del materiale. Di conseguenza, l’anfora resta molto porosa e questo aspetto è determinante per mantenere il legame, anche concreto, tra il vino e il terreno. Per mitigare la porosità si utilizza della cera d’api, gettata all’interno delle anfore appena uscite dal forno così da sciogliersi e formare un rivestimento. L’impatto sul vino si sente soprattutto nella fase d’uso iniziale, in cui i sentori terrosi sono accompagnati da note di cera. Poi con il tempo, tutto diventa più armonico e i vini presentano caratteristiche dovute più al metodo di vinificazione che al recipiente utilizzato.
Quello che succede nell’anfora è quasi un mistero: il pigiato viene versato insieme alla totalità o a solo una parte delle bucce e ha inizio la fase ‘tumultuosa’ della fermentazione. Al termine, l’anfora viene sigillata e tutto procede in modo autonomo. Per ottenere il risultato che si ha in mente e evitare errori, l’unica possibilità è giocare d’anticipo, facendo le cose come dio comanda sin dal vigneto, raccogliendo uve sane al momento giusto, e così via. Il controllo della temperatura è assicurato dal fatto che le anfore vengono completamente interrate. La porosità dell’argilla garantisce una sorta di continuità con l’elemento terra – imprescindibile nella tecnica tradizionale georgiana. Le sfumature diverse che si riconoscono nei vini a seconda delle zone di produzione dipendono sì dall’uso delle bucce (altro elemento fondamentale per esprimere il territorio nel bicchiere in quanto contiene gli elementi minerali derivati dal suolo), ma anche dallo ‘scambio’ tra il vino in fermentazione/affinamento e la terra circostante, che va mantenuta umida. Vi lascio immaginare gli epic fail delle varie USL nel porre le condizioni per la vinificazione in Italia…
Un’altra caratteristica delle anfore georgiane è la forma: sono le uniche con affondo a punta. La parte centrale ovoidale facilita la formazione di moti circolatori durante la fermentazione, che acquistano velocità in prossimità delle punte, garantendo il rimescolamento. Inoltre, a fermentazione ultimata, la punta è importante per la decantazione delle fecce: le più pesanti sprofonderanno proprio lì, seguite in un secondo momento dalle bucce. Queste le ricopriranno formando uno strato isolante che proteggerà il vino da contaminazioni e smorzando gli effetti dell’ossido-riduzione. L’unica garanzia per avere un recipiente fatto nel modo giusto, quindi, è comprare dai produttori georgiani, con costi di trasporto che raddoppiano facilmente quello di acquisto. Tuttavia, al contrario della barrique, l’anfora è potenzialmente eterna, richiede pochissima manutenzione e non altera in modo prepotente le caratteristiche del vino che contiene.
I vini
Perché dovremmo scegliere un vino prodotto con le anfore? Come accennato all’inizio, l’anfora conferisce al vino sentori terrosi e talvolta di cera, e ne esalta la mineralità. Tuttavia, le caratteristiche peculiari di un vino che ha fermentato ed è stato affinato in anfora sono altre e nascono dalla tecnica di vinificazione più che dal recipiente utilizzato. La macerazione lunga è un modo unico per esaltare le caratteristiche varietali di un vitigno e creare un vino longevo e di grande personalità. Il contatto prolungato con le bucce è il vero responsabile del suo profumo e sapore; in particolare, sono le bucce in macerazione a ossidare. Per cui a seconda dello stile ricercato si può scegliere di mettere in anfora il 100% del pigiato oppure solo un 20-30% insieme al mosto, così da ottenere l’equilibrio tra stile ossidativo e aromaticità desiderato. Dalle bucce derivano anche mineralità e tannini, estratti in grandi quantità e responsabili di corpo e struttura. Contrariamente a quanto ci si può aspettare, la vinificazione in anfora regala i vini più fini dalle uve più tanniche, in particolare con i bianchi.
L’Emilia è una terra ricca di vitigni autoctoni, e nei bagni del Vinitaly si è subito pensato a sperimentare l’uso dell’anfora per la produzione di vini di assoluta tipicità. I produttori coinvolti nel progetto hanno stabilito una serie di regole comuni, ma soprattutto hanno capito che la forza stava nell’unione e nella condivisione dei risultati. Solo così sarebbe stato possibile sperimentare diverse combinazioni di vitigni, tecniche e territori e ottenere esiti soddisfacenti in un periodo di tempo ragionevolmente breve. Tra i candidati non potevano mancare due vitigni storici della zona, protagonisti anche della degustazione alla Banca del vino:
- Albana: vitigno antichissimo, diffuso soprattutto nel Faentino. Le zone di coltivazione ad altitudine maggiore (480 m) presentano terreni sciolti, ricchi di arenarie, e per questo esterni alla DOCG; la piena maturazione si ottiene più facilmente nella zona di Imola (ca. 150 m), culla dell’Albana, su suoli argillosi. Per la buccia spessa, ricca di tannini, e l’alta acidità, si adatta bene alla permanenza in anfora, dando vini di carattere, freschezza e incredibile mineralità.
- Centesimino: vitigno raro del Faentino, riconosciuto ufficialmente solo nel 2003, appartiene alla famiglia di Grenache, Tocai rosso, Alicante ed è caratterizzato da profumi primari (di frutta) molto spiccati; questo lo rende ideale per la vinificazione in anfora, grazie alla quale il vino acquisisce un colore scarico e brillante, simile a un Pinot nero, anziché i toni impenetrabili che si ottengono vinificando in acciaio.
Mentre alcuni bianchi ricordano facilmente le Ribolle friulane e altri i vini orange, i rossi per me sono stati una bella scoperta. Come tutti i vini in stile ossidativo, i tempi di permanenza sulle bucce sono lunghi – dai 120 giorni fino anche a 10 mesi. Tra qualche anno non posso perdermi l’occasione di una verticale, perché le differenze tra 2015 e 2014, o 2014 e 2013, dei vini in degustazione a Pollenzo già rivelavano un’evoluzione sorprendente e tutta da scoprire. Vi lascio alle bottiglie/aziende protagoniste della serata invitandovi a seguire il progetto AN so miga FORA e a guardare il video di presentazione.
Villa Papiano Terra! IGT Sillaro Albana, Albana 100%, a. 2015/2014. Fermentazione: in anfore georgiane con il 20% delle bucce, affinamento di 4 mesi, seguiti da minimo 4 mesi in bottiglia.
Tre Monti Vitalba DOCG Albana, Albana 100%, a. 2014/2013. Fermentazione: 120 giorni in kvevri georgiani (bucce: 2014 100%, 2013 60%), ulteriore affinamento di ca. 10 mesi. Imbottigliata dopo semplice travaso, nessuna filtrazione.
Villa Venti A Vino Rosso, Centesimino 100%, a. 2015/2014. Raccolta manuale nella prima settimana di Ottobre, vinificazione e maturazione in anfora georgiana con il 100% di bucce per almeno 6 mesi.
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