Dolcetto o scherzetto? Ok, Dolcetto, ma quale?
Halloween è alle porte e, ormai da qualche decennio, si usa festeggiarlo anche da noi. Le origini di questa ricorrenza sono da ricondursi al popolo celtico che, specialmente in Inghilterra, Irlanda e Francia era d’uso festeggiare. Nel XX secolo ha preso piede specialmente negli Stati Uniti, l’abitudine di travestirsi da mostri, addobbare le case con zucche intagliate e girare (prettamente i bambini) per le case al grido di “trick or treat?” tradotto in italiano con “dolcetto o scherzetto?”.
Io sono sempre stato più tipo da scherzi ma, nella mia deriva enoica, ho provato a stilare la pasciuta lista delle DOCG e DOC di uno dei vini (e vitigni) che hanno visto un lungo periodo di decadenza (quando è stato sostituito in alcune aree dal moscato bianco e in altre del nebbiolo) dopo i “fasti” del passato.
Perché Dolcetto?
Molti erroneamente credono sia un vino dolce per via del suo nome che invece pare derivi da una certa dolcezza del frutto (soprattutto se paragonato a uve dall’acidità più elevata come la Barbera). Secondo altre fonti il suo nome deriverebbe dai piccoli dossi o colline detti dialettalmente “duset”. Il Dolcetto rimane uno dei vitigni più coltivati nel Piemonte meridionale. Giorgio Gallesio (celebre botanico italiano) credeva che il Dolcetto fosse originario del Monferrato; altri pensano che sia stato importato dall’Asia per poi essere impiantato, a partire dal XIV secolo, ad Ormea per decreto dei Marchesi di Clavesana mentre altri ancora si affidano alla prima testimonianza scritta datata 1593 che ne testimonia la presenza in quel di Dogliani. Il Dolcetto, in Piemonte, è sempre stato considerato un vino quotidiano.
La caratterizzazione territoriale
Il Dolcetto è una varietà estremamente delicata che poco si adatta a territori diversi da quello di elezione. Molto sensibile ai
cambiamenti di terreno, si trova a suo agio prevalentemente in Piemonte a ridosso dell’arco preappenninico. Il suo adattarsi in modo differente ai minimi cambiamenti ambientali ha favorito la nascita di un numero ingente di denominazioni (a volte decisamente troppe) che hanno contribuito a rendere il Dolcetto un vino difficile da comunicare all’estero e, talvolta, anche in Italia.
Alcune caratteristiche
Colore rosso con riflessi porpora, tannino di buona presenza soprattutto se confrontato al corpo e all’acidità. Aromi che vanno dal tipoco odore vinoso ai più delicati floreali, come la viola, e speziati (soprattutto pepe nero). Sapori morbidi e fruttati principalmente di prugne, more e lamponi. Tranne alcuni rari casi, data la sua acidità non spiccata, poco si presta a un lungo affinamento.
L’odore vinoso
Spesso, quando si parla di Dolcetto durante le degustazioni, si fa riferimento al suo “odore vinoso”. Chi è meno addentro alle terminologie potrà pensare: “e grazie, di che dovrebbe sapere un vino se non di vino?”. In realtà come odore vinoso si intende un profumo caratteristico di un vino giovane che ricorda la vinificazione e, più specificatamente, l’odore che si può percepire in cantina durante la svinatura. Mai stati in cantina durante la svinatura? Annotatelo nel vostro elenco delle cose da fare.
Come detto prima, le DOCG e le DOC del Dolcetto sono tante, troppe, una vera jungla. Districarsi non è sempre facile e come sempre in questi casi è necessario (ahimè) provare e riprovare, assaggiare e riassaggiare…
Le DOCG
Le DOCG che vedono protagonista il Dolcetto sono “solo” 3:
Dogliani: a Dogliani la questione Dolcetto viene presa decisamente sul serio al punto che il più grosso produttore di Dolcetto, la cantina Clavesana, ha come motto aziendale “Noi siamo Dolcetto”. La storia del Dogliani è lunga e travagliata: nel 1974 viene riconosciuta la DOC per il Dolcetto di Dogliani rivendicando una sua autonomia rispetto al Dolcetto d’Alba. Bisogna però aspettare il 2005 perchè vengano riconosciute le DOCG Dogliani e Dogliani Superiore che vengono unificate sotto lo stesso disciplinare di produzione nel 2011. Di questa coltivazione, nella zona, c’è traccia già dal Cinquecento e Dogliani può essere considerato l’epicentro del Dolcetto in Piemonte. In questa DOCG è stata accorpata nel 2011 la DOC Dolcetto delle Langhe Monregalesi.
Dolcetto di Diano d’Alba o Diano d’Alba: era il 1988 quando i viticoltori della zona di Diano d’Alba iniziarono una sorta di “zonazione” dei vigneti identificando le aree migliori alla coltivazione del Dolcetto (ne furono identificate ben 77 tutte all’interno del comune di Diano) chiamate “Sörì”. Il riconoscimento della DOCG arriva nel 2010.
Dolcetto di Ovada Superiore o Ovada: nel territorio di Ovada, si ha traccia delle prime coltivazioni di Dolcetto già dal Seicento. Qui viene prodotto un vino che, più di altre denominazioni, può puntare all’invecchiamento.Questa DOCG è stata ufficializzata nel 2008 e sembra stia cercando di crearsi una posizione nel panorama dei vini piemontesi.
Le DOC
Colli Tortonesi Dolcetto: il vitigno Dolcetto ha trovato anche dimora (da quasi due secoli) nei terreni argilloso-calcarei del tortonese dove viene chiamato comunemente “nibiò”. Qui dà origine a vini pronti piuttosto precocemente.
Dolcetto d’Acqui: prodotto in 23 comuni nella zona dell’Alto Monferrato, l’epicentro di questa denominazione è appunto il comune di Acqui Terme. Solitamente è particolarmente delicato, soprattutto al naso.
Dolcetto d’Alba: è decisamente il vino “da pasto” più bevuto nelle Langhe con il suo gusto fruttato, il corpo leggero e un finale tipicamente mandorlato. Come caratteristiche è molto simile al Dolcetto d’Asti. Ha lo status di DOC dal 1974.
Dolcetto d’Asti: come il Dolcetto d’Alba anche il Dolcetto d’Asti vede riconosciuta la sua DOC nel 1974. La zona di maggiore elezione di questa denominazione è l’Alto Monferrato. e in particolare in 24 comuni posti all’estremità sud-orientale dell’Astigiano. Di solito è un vino di pronta beva tendenzialmente fruttato, armonico e dal finale ammandorlato.
Dolcetto di Ovada: nata nel 1972, la DOC Dolcetto di Ovada è caratterizzata da un vino più “leggero” e delicato della sua versione Superiore che regala il meglio di sé quando viene bevuto dal suo primo anno di età fino ai successivi 2 o 3 anni. Il colore tende più al rubino per passare poi al granato con l’invecchiamento.
Pinerolese Dolcetto: questa zona si estende dai piedi delle Alpi Cozie allo sbocco in pianura della Val Chisone. Le condizioni climatiche sono fortemente influenzate dalla presenza delle montagne dove la maturazione è più difficoltosa e, nelle annate che per altre zone sono più calde e critiche, qui si riesce a raggiungere una perfetta maturazione.
Pornassio o Ormeasco di Pornassio: rispetto alla maggior parte delle denominazioni piemontesi, il dolcetto coltivato a Ormeasco presenta alcune caratteristiche dei vini di montagna con piacevoli sentori di ribes e viola e un’acidità più spiccata.
Altre DOC che prevedono l’utilizzo del vitigno Dolcetto sono: Piemonte, Monferrato, Langhe, Val Polcevera, Valsusa e… sicuramente ne avrò dimenticata qualcuna. Quando ho provato a contarle la prima volta me ne son perse per strada 5 o 6, un po’ come da bambino: dopo la festa di carnevale, quando si credeva di essersi scrollati di dosso tutti i coriandoli…almeno fino al momento di togliersi i pantaloni.
5 assaggi in ordine sparso…
Ammetto di non essere un grandissimo bevitore di Dolcetto, però qualcosina l’ho assaggiato. Dei vini provati nell’ultimo anno e mezzo quelli che mi hanno colpito di più sono stati:
Ca’Viola – Barturot Dolcetto d’Alba DOC 2015: solitamente non amo questo genere di vini “molto estratti” ma questo fa eccezione e non si può non volergli bene. Corpo e frutto pieno, tannino levigato e una lunghezza da record.
San Fereolo – Dogliani DOCG 2007: quando me l’hanno versato nel bicchiere sono rimasto un po’ spiazzato da una certa sovrabbondanza di note eteree che sono svanite dopo una buona mezz’ora di attesa. Poi è stata un’esplosione di frutti maturi, potente ed elegante. Devo essere sincero, ancora adesso non so se mi sia piaciuto o meno, però mi ha spiazzato.
Alasia – Dolcetto d’Asti DOC 2015: un Dolcetto piuttosto intenso che gioca sul carattere fruttato mantenendo comunque una certa austerità.Tannini ben integrati e un frutto maturo (prugna) guida la bocca con un finale discretamente lungo e pulito.
Forti del Vento – La Volpe Ovada DOCG 2014: annata difficile, vino biodinamico… bisogna aver paura? No! Non ha molto corpo ma il suo naso e poi il gruppo fruttati lo rendono decisamente piacevole mentre il retrogusto leggermente amaro ne facilita la beva.
Guglierame – Ormeasco di Pornassio 2014: risponde perfettamente alla descrizione di “odore vinoso”, rimane comunque elegante con un’acidità leggermente spiccata per chiudere con note mandorlate.